STORIE DA CONOSCERE E RACCONTARE: “Ghandi” di C. Lossani

a cura di Paola Benadusi Marzocca (esperta di letteratura giovanile per ragazzi)

Ai ragazzi di oggi non può non interessare la figura di Gandhi, un uomo divenuto subito un’icona, un eroe, un personaggio che travalica i confini del suo tempo. Chiara Lossani ricostruisce la sua vita e il suo messaggio immaginando possibili incontri fra ragazze e ragazzi di diversa provenienza con il “Mahatma” in momenti diversi della sua storia (“Gandhi”, San Paolo, pp.184, € 16,00). Aver conosciuto Gandhi cambierà la percezione della realtà in cui vivono.

“La vita di ciascuno di noi è fatta di incontri, scrive l’autrice, ad alcuni resistiamo, altri ci cambiano, ma è meglio dire che ci fanno ritrovare noi stessi…”.

Anche il cammino di Mohandas Gandhi era stato tortuoso e lungo dai difficili anni trascorsi a Londra, dove aveva conseguito la laurea in giurisprudenza, secondo il costume dei giovani che provenivano da eminenti famiglie indiane, fino al suo traumatico ritorno in India. Le umiliazioni e gli smacchi professionali che lo attendevano a Bombay, lo convinsero a trasferirsi in Sudafrica per dirimere una causa di un mercante indiano. Qui si sarebbe deciso il suo destino.

Mentre viaggiava verso Pretoria infatti, fu buttato giù dal treno, perché avendo pagato il biglietto insisteva di rimanere in prima classe. Ma in un Paese come quello, dominato da forti pregiudizi di razza e immerso in una realtà di miseria estrema e lotte politiche, non c’era possibilità di scelta. Dunque lui, Gandhi avvocato indiano, era colpevole del colore della sua pelle. Nella desolata sala d’aspetto della stazione di Maritzburg, la piccola capitale del Natal, solo, privo di bagaglio, egli trascorse una gelida notte chiedendosi che cosa dovesse fare. Rassegnarsi alla sopraffazione o lottare per eliminarla? Non ebbe dubbi, il buio si gremì di un’inerme massa di uomini, quelli che gli inglesi chiamavano coolies. Sembrava che si aspettassero qualcosa da lui, l’idea di un compito di interesse collettivo lo folgorò. Una sorta di via di Damasco.

Tornò in India che nella sua immensità era pronta a esprimere la propria legittima indignazione alle ingiuste leggi imposte dal governo inglese. In silenzio i suoi connazionali attendevano un ordine del Mahatma che raccolto in un sereno isolamento meditava sul grave passo da compiere. In modo pacifico, ma non meno dirompente. Mai gli inglesi avrebbero concesso spontaneamente la libertà al suo popolo: occorreva che lui, soltanto lui lo guidasse alla ribellione. Si mise dunque in marcia verso il mare con pochi seguaci. Aveva infatti deciso che il movimento di protesta avrebbe avuto inizio con la violazione delle leggi concernenti la tassa sul sale, una delle più impopolari in India poiché ricadeva soprattutto sui poveri.

L’immagine di questo piccolo uomo ormai anziano che andava completamente disarmato a sfidare un impero, fece fremere l’India e varcò i suoi confini. Folle entusiaste si addensarono al suo passaggio cosicché l’esiguo manipolo si trasformò in breve in una moltitudine.

“Il dominio degli inglesi in India, spiegò il Mahatma giunto alla spiaggia, vi ha portato alla rovina materiale, morale, culturale e spirituale. Sono deciso a distruggerlo…” e a sottolineare le sue parole raccolse una simbolica manciata di deposito salino. Fu il segnale della rivolta, il suo messaggio era stato compreso. La sua esile, bianca figura si arrossò al riverbero degli enormi roghi di stoffe inglesi appiccati ovunque.

Sono passati più di cinquant’anni dalla morte di Gandhi a Delhi. Il riformatore scarno e seminudo che del principio della non violenza aveva fatto la sua forza e la forza del suo popolo, cadde ucciso da tre colpi di rivoltella. Da pochi giorni aveva interrotto un nuovo digiuno, un digiuno per espiare le colpe della sua gente. Ora che finalmente l’indipendenza dell’India era divenuta una realtà, gli antichi rancori che da sempre dividevano i musulmani e gli indù esplosero con ferocia inaudita; in ogni contrada dell’India si uccideva, si seviziava, si compivano atrocità indescrivibili. Perfino chi si rifugiava nei templi e nelle moschee non era risparmiato. La violenza era dunque la legge degli uomini e non l’amore come Gandhi aveva insegnato fin dall’inizio della sua missione?

 

Gandhi in visita nel quartiere Garbatella di Roma nel 1931