a cura di Paola Benadusi Marzocca (esperta di letteratura giovanile per ragazzi)
E’ difficile oggi immaginare l’impressione terrorizzante che provocarono gli Unni, i barbari guidati dal leggendario Attila, ai confini di quello che era ancora l’impero romano. Il romanzo di Davide Morosinotto, “Il Figlio del Mare – La saga dei Da Mar” (Mondadori, ill. Lucrezia Bugané, pp. 368, € 17,00), è ambientato proprio in quel momento, precisamente nell’anno 452 dopo Cristo. Siamo ai prodromi del medioevo. Come spiega l’autore nell’introduzione le persone dell’epoca si sentivano romani, le loro case erano le “domus” e i soldati i legionari. Poi arrivarono i barbari, i veri protagonisti di questo romanzo, che racconta quel pezzo di storia in modo accattivante attraverso le avventurose, drammatiche vicende di un ragazzo quattordicenne, Pietro, che viveva senza farsi tante domande in una fattoria occupandosi di maiali al servizio del prepotente signore di Ateste, oggi Este. Scrive l’autore che lo scenario di questo è il luogo dove è nato e cresciuto, uno scenario completamente mutato, ma ci sono ancora Padova (Patavium), Milano (Mediolanum), milleseicento anni fa più importante di Roma, e Ravenna che allora era la capitale dell’impero di Occidente. E la laguna di Venezia su cui da una miriade di isole ravvicinate sorse la più suggestiva e fantastica città del mondo.
I disegni incorniciati come arazzi accompagnano la storia di Pietro e Giustina, la nobile figlia del “Clarissimo”, il suo padrone, che per una serie di casuali eventi diventa la sua compagna di viaggio e poi chissà. Sono illustrazioni che rappresentano ciò che avviene tra un capitolo e l’altro aiutando a capire meglio la vita quotidiana di quei tempi lontani e in gran parte sconosciuti.
Anzitutto la descrizione di Pietro: “a quattordici anni sembrava già un mezzo gigante con spalle larghe, capelli rossi e la pelle chiara, che si scottava sempre, tanto che ogni sera la mamma doveva spalmargli la schiena con un intruglio fatto di grasso ed erbe.” Mentre si trova nella casa del suo signore con un maialino ancora vivo in spalla da fare arrosto, giunge il messaggero con la ferale notizia dell’invasione dell’esercito degli Unni. Occorre difendersi, il ragazzo deve mettersi in cammino per affrontare con gli altri i terribili nemici che cavalcano armati fino ai denti su selle che li rendono invincibili. Grande sarà lo stupore di Pietro quando viene a sapere dalla mamma che è figlio di un barbaro e non dell’attuale marito della donna, con il quale c’era sempre stato un pessimo rapporto. E’ l’inizio per il giovane di una grande avventura che lo porta a conoscere meglio il suo carattere e a prendere coscienza delle sue potenzialità, non solo fisiche essendo forte come un toro ma anche intellettuali. Si accorge di possedere un carattere forte e spregiudicato pronto ad affrontare imprevisti e difficoltà inimmaginabili. Già da tempo del grandioso passato dell’impero romano erano rimaste poche tracce e soprattutto una sorta di lento disfacimento che rendeva i romani più confusi di quei guerrieri pronti a tutto pur di vincere, assetati di terre e ricchezze.
Il lettore viene quindi immerso in un’epoca così remota da sembrare una favola oscura, ma costellata di fatti, uccisioni, battaglie accadute realmente. La lotta per il Potere con la P maiuscola si pone in tutta la sua evidenza allora come oggi. Quando mai l’umanità ha imparato qualcosa dagli eventi passati? Gli uomini non hanno memoria o non vogliono ricordare perciò in un vortice inarrestabile la storia prosegue il suo corso.