I bambini e la guerra. E noi

di Alessandro Cavalli

Un bambino di 10 anni ha mediamente genitori quarantenni e nonni settantenni. Questo vuol dire che ne i genitori ne i nonni, salvo pochi casi, hanno avuto un’esperienza diretta di che cos’è la guerra, non la possono raccontare. Della guerra, nonni, genitori e nipoti hanno solo un’immagine mediatica, non sono in grado di confrontare la rappresentazione con il racconto di una realtà direttamente vissuta. Che il 90% della popolazione non abbia un’esperienza diretta della guerra è un privilegio di cui solo il nostro pezzo di Europa ha potuto godere.

La guerra entra nelle nostre case attraverso le immagini. Non possiamo (come genitori e come educatori) schermare i bambini da questa realtà, ancora piuttosto remota, ma appena a poche ore di viaggio. I bambini leggeranno la realtà della guerra dalle immagini, ma soprattutto dalle emozioni che quelle immagini suscitano negli adulti che li circondano. Prima di tutto, non dovremo far finta di niente, fare come se le immagini rappresentassero un realtà virtuale. Non dobbiamo fare gli indifferenti, come se si trattasse di un war game qualsiasi. Dobbiamo comunicare le nostre emozioni. Certo, con la dovuta cautela, ma senza nascondere i nostri sentimenti e i nostri pensieri. Non va bene lasciare i bambini soli davanti alle immagini della violenza della guerra. Preoccupazione sì, panico no.

Dobbiamo parlarne. Riconoscere la realtà del conflitto tra stati e che la guerra non è l’unico modo per risolvere i conflitti, che ci possono essere vinti e vincitori, ma anche tutti perdenti. Può essere l’occasione per iniziare un processo di riflessione sulla violenza, anche quella tra pari (di cui i bambini hanno comunque esperienza diretta), quella in famiglia, quella tra bande rivali, tra gruppi con interessi in conflitto e i modi in cui i conflitti possono essere regolati e la violenza può essere controllata e neutralizzata.

Poi, fra poco, incominceranno ad arrivare a migliaia i profughi, quelli sì avranno qualcosa da raccontare, la distruzione, la paura, la fuga. Sarà un’occasione per un confronto diretto con la realtà della guerra, per connettere immagini mediatiche e racconti di esperienze vere. Sarà anche un’occasione per concretizzare la solidarietà con le vittime, per convincersi e convincere che ognuno può fare qualcosa per alleviare le sofferenze di coloro che la guerra l’hanno vista coi loro occhi.

Insomma, la cosa da non fare, come genitori e come educatori (compresi, ovviamente, gli insegnanti) è non lasciare i bambini soli ad elaborare l’impatto con la realtà della guerra. Prima di chiederci come i bambini reagiscono alle immagini della guerra, dovremmo chiederci come reagiamo noi e come trasmettiamo ed elaboriamo le nostre reazioni.

(testo tratto dalla Newsletter del circolo Pertini di Genova)