STORIE DA CONOSCERE E RACCONTARE : L’ULTIMO CACCIATORE di D. Morosinotto

Recensione a cura di Paola Benadusi Marzocca (esperta di letteratura giovanile per ragazzi)

Il romanzo di Davide Morosinotto, L’ULTIMO CACCIATORE (Mondadori, pp.312, € 17,00), ci fa tornare indietro di circa diecimila anni fa, in un territorio equivalente all’attuale Florida negli Stati Uniti d’America. Attraverso la vicenda di Roqi e dei suoi amici porta alla ribalta qualcosa di più di una saga familiare, un problema antico quanto l’uomo, quello della sua identità, della sua essenza più segreta. Il problema del retaggio culturale che caratterizza una comunità come il singolo individuo facendone ad ogni momento della propria storia e della propria vita quell’essere unico e irripetibile che è.

E’ questo il caso del protagonista un adolescente insicuro ancora delle proprio capacità e alla ricerca del suo posto sulla terra. Tutti i suoi coetanei hanno scoperto il proprio talento; il vecchio stregone della tribù aveva parlato agli spiriti e compiuto il rito di iniziazione prima che una tempesta di fuoco investisse il villaggio distruggendo tutto insieme ai suoi abitanti. Sono rimasti in vita cinque ragazzi, della stessa età fuorché Hona, la sorella più piccola di Ama, la bellissima figlia del capo che possiede il talento delle Storie. Roqi non ha ancora capito quale talento abbia lui, perché tutti possiedono un talento. “Eppure qualcosa di speciale, rifletteva fra sé, dovevo pure averla. Per forza: ce l’hanno tutti. Solo non riuscivo a immaginare quale fosse.” Per questo è costretto suo malgrado a camminare in fondo con i più piccoli nel viaggio che intraprendono per sopravvivere cercando un’ altra tribù che sia disposta ad accoglierli.

«L’ultimo cacciatore è ispirato dal saggio “Il crepuscolo dei mammut” del paleontologo Paul Martin che descrive come si sono estinti gli animali straordinari e giganteschi (la Megafauna) del Pleistocene.

Nel romanzo di Morosinotto i protagonisti ominidi che hanno già scoperto il fuoco e il suo uso, si nutrono di erbe ma anche di animali, costruiscono armi con le pietre. Sentono la presenza di demoni implacabili nel loro odio verso gli uomini e la natura. La foresta è dominante con le sue piante e i suoi enormi animali che godono e soffrono come gli esseri umani. Di forte impatto descrittivo è l’incontro dei ragazzi con un grosso ciucciafoglie (“eremotherium”).

“Era davvero un grosso ciucciafoglie, alto due volte e mezzo un uomo…”, racconta Roqi. “La creatura aveva il pelo lungo e grigio, gli occhi e le orecchie piccolini, e un bel nasone nero, umido, che spuntava come un fungo al centro del muso.” Veniva considerato il Signore del Bosco. Il ragazzo, provocato dagli altri che lo accusano di avere paura, lancia sia pure con disappunto una pietra e lo uccide, un tiro perfetto, senza volere ha scoperto il suo talento: il Talento di Uccidere, e con esso la consapevolezza di foggiare da solo il proprio destino.

Comincia così un’ avvincente avventura scandita dalle osservazioni e dai racconti di Roqi. E’ un’avventura piena di simboli e di personaggi archetipi, ma anche di elementi reali che fanno luce sul modo di vivere e sulle abitudini delle tribù che si spostavano affrontando rischi di ogni genere su territori sconosciuti. Andando avanti nella lettura si comprende quanto questi uomini primitivi fossero esperti nell’arte della sopravvivenza anche se, in realtà, di un’epoca così remota conosciamo poco e tanto meno le loro credenze sulla vita e sulla morte.

Un fatto è certo: gli animali e le piante di cui si parla sono davvero esistiti e c’è da chiedersi il motivo della loro estinzione. Precisa Davide Morosinotto: “C’è chi dice che fu colpa del clima. O degli esseri umani. O di un insieme delle due cose.” Si può presupporre che Roqi e le sue Mille Tribù infatti non fossero “un popolo di sanguinari poco rispettosi della natura. Tutto il contrario. Solo che all’improvviso diventarono un po’ troppo bravi nella caccia.” Per avere il senso della natura bisogna conoscerla e temerla. Questi ominidi riuscivano a capire il linguaggio degli animali feroci, ad ascoltare il lamento degli alberi dilaniati dagli artigli dell’uccello del terrore (“furusracide” ) posseduto da una forza che voleva la sua fine. Forse oggi malgrado i progressi scientifici ci siamo allontanati troppo dal mondo naturale così ricco di possibilità. Solo osservando e comprendendo potremmo essere in grado di apprezzarlo e riconoscerne il valore. Allora sarebbe impossibile desiderare di distruggerlo.