E’ USCITO IL NUOVO NUMERO DI SCUOLA DEMOCRATICA

Anna Maria Ajello

·         Una vita per l’educazione a scuola e fuori. In memoria di Clotilde Pontecorvo

  • pp. 413-416, DOI: 10.12828/106009

 

saggi

  • Martina Colicchio, Valentina Mancini, Vincenzo Nesi, Riccardo Paramatti
  • pp. 417-441, DOI: 10.12828/106010

·         Un’analisi con sette indicatori socioeconomici per laureate e laureati triennali

  • Silvia Dell’Anna, Dario Ianes, Giulia Tarini
  • pp. 443-461, DOI: 10.12828/106011

·         Dalla dialettica universale-particolare verso una didattica plurale. Visioni, approcci e strategie per una scuola di tutti e di ciascuno

  • Domenico Carbone, Enrico Gargiulo
  • pp. 463-483, DOI: 10.12828/106012

·         Un reclutamento ‘stratificato’. I docenti italiani tra mobilità territoriale e di carriera

  • Francesco Seghezzi
  • pp. 485-506, DOI: 10.12828/106013

·         I giovani italiani tra mercato e non-mercato. Esperienze e competenze all’interno delle transizioni occupazionali

  • Nadia Crescenzo
  • pp. 507-526, DOI: 10.12828/106014

·         The Education/Learning Dilemma. The Non-Formal Dimension in European Youth Policy

  • Andrea Casavecchia
  • pp. 527-547, DOI: 10.12828/106015

·         Youth Participatory Cultures in Italy. Before and After Lockdown

 

Che fare per l’istruzione e la formazione nella prossima legislatura?

  • Luciano Benadusi, Vittorio Campione
  • pp. 549-550, DOI: 10.12828/106016

·         Che fare per l’istruzione e la formazione nella prossima legislatura?

  • Luciano Benadusi,Vittorio Campione
  • pp. 551-560, DOI: 10.12828/106017

·         Parliamo di scuola

  • Roberto Moscati
  • pp. 561-569, DOI: 10.12828/106018

·         Parliamo di università

  • Fiorella Farinelli
  • pp. 571-579, DOI: 10.12828/106019

·         Parliamo d’istruzione e formazione tecnica e professionale</

a cura di Paola Benadusi Marzocca (esperta di letteratura giovanile per ragazzi)

Dal titolo si comprende tutto: Francesca Mannocchi con il suo ultimo libro squarcia il ristretto orizzonte in cui viviamo per aprirci al mondo. “Lo sguardo oltre il confine – Dall’Ucraina all’Afghanistan, i conflitti di oggi raccontati ai ragazzi” (De Agostini, pp.224, € 13,90), è un libro che descrive uno scenario inquietante, basato su una testimonianza diretta sugli avvenimenti e scontri che caratterizzano buona parte del nostro pianeta.

Libano, Afghanistan, Libia, Siria, Ucraina. I conflitti di oggi ai confini con l’Europa non si contano e sono terribili, perché sovente caratterizzati da guerre fra gruppi di persone che fanno parte della stessa popolazione. Niente di più violento perché se la guerra è sempre l’estrema ratio, la lotta armata fra persone affini la rende ancora più atroce perché senza via di uscita.

Non è un caso che nella Bibbia la storia dell’uomo inizi con un duello mortale fra due fratelli e che molta strada sia stata fatta da quell’episodio violento, divenuto leggendario. La demitizzazione del male è avvenuta in tempi recenti, ma se l’uomo moderno ha cercato la verità che si celava sotto il velo del mito, la rappresentazione del male è espressione di una potenza antica le cui ragioni sfuggono alla comprensione razionale. Ugualmente la guerra, dimensione in cui dominano le tenebre e vagano ombre livide; i conflitti sanguinosi che caratterizzano la storia dell’uomo dalle origini, scavano un abisso nel quale sprofondano in silenzio, senza lasciare traccia sentimenti e valori. In guerra l’uomo si trasforma “in un essere spaventoso e oscuro”. “E’ su quell’essere spaventoso e oscuro che siamo chiamati a interrogarci”, scrive l’autrice. Quando comincia una guerra, negli esseri umani si risvegliano gli istinti più feroci, e vincitori e vinti si perdono nel miserando caos del mondo. Basta leggere “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Herich Maria Remarque per capire l’assurdità e l’iniquità della guerra.

Con grande efficacia e introducendo parti di storia e cronologia dei vari eventi, la Mannocchi descrive la guerra civile libanese (1975 -1990) fra le Forze libanesi cristiano-maronite e il Movimento nazionale appoggiato dall’OLP ( Organizzazione per la liberazione della Palestina). Costò 150.000 vite e 300.000 feriti , più l’emigrazione di quasi un milione di persone. Beirut era ritenuta la Parigi del Medio Oriente, percorsa dal vento del deserto e dal profumo dei fiori di limoni e di mare. Oggi è una città semi-distrutta, in cui prevale un sentore di morte, di polvere, di spazzatura, di rovine e di antichi massacri da entrambi le parti in lotta, che sedimentano odio e divisione.

Sciiti e Sunniti: un contrasto in medio oriente che sembra senza vie di uscita. Così l’Afghanistan e la sua storia martoriata, divenuto un Paese dopo vent’anni di guerra, desolato, dove ci sono decine di migliaia di persone che vivono in povertà, bambini malnutriti, giovani senza futuro e per le donne proibizione di andare a scuola e di uscire di casa. La storia dell’Iraq non è molto diversa: dal 2003, l’anno dell’invasione statunitense, la maggioranza degli studenti “hanno ricordi costruiti sulla guerra, la disperazione e le atrocità”. In quanto alla Libia l’autrice racconta con dovizia di particolari la fine del regime autoritario di Gheddafi e il disordine successivo, determinato dai gruppi armati che dopo la “rivoluzione” hanno preso sempre più potere nel territorio combattendo tra loro senza esclusione di colpi. L’amico Husen le dice: “Prima avevamo un rais, dopo la sua morte siamo rimasti a fare i conti con tanti piccoli Gheddafi.”

La Siria, altro Paese dilaniato da un conflitto civile non ancora risolto, dove sono stati uccisi circa 40.000 oppositori al regime di Bashar al-Assad. Per finire l’Ucraina che ha subito l’invasione russa e dove la guerra è ancora in corso. Adulti e ragazzi vogliono difendere la propria terra, i propri diritti.

di Luciano Benadusi e Orazio Giancola

(l’articolo è stato pubblicato anche da Tuttoscuola.com )

Il primo gesto compiuto dal nuovo governo sulla scuola è stato il cambiamento del nome del Ministero dell’Istruzione aggiungendovi “e del Merito”. Una scelta chiaramente identitaria e assai criticata per varie ragioni, alcune buone altre meno. Portare il discorso politico in materia di educazione sui valori e sui principi è una scelta giusta perché qui entra in gioco più di quanto avvenga per altre tematiche la dimensione valoriale, di solito invece trascurata. Non fosse che in questo caso la scelta è stata effettuata in modo monistico evocando un unico valore di riferimento, per l’appunto il merito. Già un secolo fa Weber aveva notato come nelle società contemporanee si era verificato un passaggio di grande rilievo storico: dal “monoteismo” al “politeismo” dei valori. Sembra invece che nel cielo della scuola di Valditara il merito sia l’unica stella a brillare, o almeno la più luminosa tanto da poter essere indicata come parte per il tutto. Senza tenere conto che merito e meritocrazia sono a loro volta concetti plurali, dato che presentano una grande varietà di significati e di declinazioni. Nel nostro libro intitolato Equità e merito (2022) avevamo impiegato il termine equità in una prospettiva pluralistica, per designare una gamma di principi-valori che hanno ai suoi poli l’eguaglianza e il merito. Principi che possono anche essere combinati e il cui ordine di priorità variare caso per caso.

Citare solo il merito significa relegare in secondo piano l’eguaglianza e fornire così una giustificazione più ampia alle diseguaglianze. Il contrario della nostra costituzione che include l’eguaglianza tra i principi generali (art.3) mentre parla del merito molto più avanti in una norma specifica sull’istruzione (l’art. 34), e solo nell’accezione di eguaglianza delle opportunità (in breve EO), ossia della declinazione egualitaria del principio del merito. A dimostrazione della maggiore importanza ed estensione attribuite al principio egualitario rispetto a quello meritocratico. Nelle argomentazioni a favore della ridenominazione che lo stesso ministro e altri commentatori hanno portato la priorità è capovolta: il merito diventa un principio generale e l’eguaglianza si esaurisce per intero nella sua versione meritocratica perché considerata risolutiva: “Il talento è un dono: premiandolo si sconfigge il classismo” (Ricolfi, La Repubblica, 27 ottobre, 2022).

Nei fatti la questione è molto più complessa, vediamo perché. Eguaglianza delle opportunità significa concepire la scuola come l’arena di una serie di gare per il successo, basate sul talento e sull’impegno dei partecipanti – così Rawls, il maggiore filosofo della giustizia contemporaneo, e così anche il sociologo Young, l’inventore del termine meritocrazia – ma senza alcuna influenza dell’origine socio-familiare degli studenti. Senza avere parificato i punti di partenza il risultato della gara sarebbe falsato e iniquo. Abbiamo così distinto una “meritocrazia pura” da una “meritocrazia spuria”. Le ricerche empiriche ci narrano però che non esiste paese al mondo ove l’influenza delle origini sociali sia stata davvero azzerata; la “meritocrazia reale” rimane sempre (più o meno) spuria. Perché? Dipende solo dal lassismo dei sistemi scolastici che non sollecitano abbastanza l’impegno degli studenti tramite premi e sanzioni? Ma la didattica meritocratica del bastone e della carota ci regalerebbe davvero le pari opportunità? Ne dubitiamo perché, come ci mostrano molte ricerche, l’origine socio-familiare degli studenti (mediamente) non influisce solo sui risultati ma anche sull’impegno, cioè sulla motivazione a studiare e prolungare gli studi fino ai livelli più alti dell’istruzione. E le borse di studio non bastano da sole a cambiare la struttura delle motivazioni. Nemmeno il talento è immune dall’influenza dell’origine sociale. La paura della mobilità sociale discendente delle classi superiori conta di più delle aspirazioni ad una mobilità ascendente a medio-lungo raggio delle classi inferiori (anche in ragione del calcolo del rischio di insuccesso). Inoltre, non mancano evidenze empiriche che la distribuzione genetica dei talenti non sia affatto casuale, diversamente da ciò che asserisce Ricolfi. Ad esempio, una recente ricerca inglese (Crapohi, PNAS, n.14, 2022) ha rilevato quanto il successo scolastico degli studenti (all’esame GCSE) riflette in modo considerevole l’intelligenza (misurata tramite opportuni test) e alcuni tratti della personalità dei genitori. D’altra parte, per avere una misura del talento e delle disposizioni dell’individuo al netto dell’influsso dell’ambiente sociale (i genotipi) occorrerebbe ottenerla alla nascita (se non addirittura prima), cosa impossibile. Infine, Rawls, pur avendo inserito la EO tra le sue fondamentali regole di giustizia, aveva riconosciuto in essa altri due difetti sostanziali. 1) Alla luce del principio di responsabilità, l’ereditarietà genetica del talento non è meno immeritata dell’ereditarietà sociale. 2) L’EO è una meta conseguibile solo in misura parziale. Per realizzarla fino in fondo occorrerebbe infatti ledere il diritto dei genitori di assicurare ai figli il massimo delle opportunità educative e sociali. Tanto è vero che Platone, l’inventore tutt’altro che liberale della EO, proponeva di sottrarli precocemente al loro controllo e affidarli alle cure della repubblica. Consapevole di tali limiti, alla EO, definita “eguaglianza liberale delle opportunità”, Rawls ne aveva affiancata un’altra, definita “democratica”, basata sulla redistribuzione dei redditi e della ricchezza a vantaggio degli svantaggiati. Che significa premiare sì il merito ma non come fonte di un diritto morale dell’individuo bensì come un incentivo ad impegnarsi per la crescita e il benessere della società in modo che tutti ne godano i frutti, a cominciare dai più deboli. Un indirizzo impraticabile in una società meritocratica iper-competitiva dove la stessa scuola funziona come una Olimpiade individualistica del merito, premia i vincitori e si disinteressa dei perdenti o peggio li esclude. Per converso occorrerebbe assecondare lo sviluppo di habitus comunitari, cooperativi e solidaristici.

Concludendo, non condividiamo la riduzione del principio di eguaglianza alla sola EO, la sua versione meritocratica. Ma nemmeno il rifiuto aprioristico del principio del merito, che andrebbe al contrario alimentato per combattere privilegi, pregiudizi e inefficienze presenti anche nel mondo scolastico. Nel nostro libro oltre che ribadire l’importanza della EO in entrambe le declinazioni di Rawls, abbiamo caldeggiato altre due nozioni dell’eguaglianza nella scuola: quella “dei risultati fondamentali in funzione della inclusione” (la soglia minima della carriera scolastica degli studenti e dell’apprendimento delle competenze di base) e quella della “eguale dignità” (principio del rispetto).

Eguaglianza e merito non sono sempre inconciliabili, dipende dai contesti. Per parlare non più di studenti bensì di insegnanti, ispirandoci al criterio del merito come incentivazione ha senso strutturare una carriera di tipo selettivo premiando chi ha acquisito maggiori competenze e può esercitare in modo efficace ruoli più complessi, ad esempio insegnare nelle scuole “difficili” dove si decide la lotta contro la povertà educativa e i divari sociali e territoriali. Definire perciò un preciso ed univoco percorso di formazione, ingresso e avanzamento in questa fondamentale carriera professionale. Ma nel contempo, ispirandoci al criterio dell’eguaglianza si rende necessario innalzare gradualmente le retribuzioni dell’intera categoria per portarle ai livelli degli altri grandi paesi europei.

 

Un caro saluto
pietro valentini

Associazione “Per Scuola Democratica”

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a cura di Paola Benadusi Marzocca (esperta di letteratura giovanile per ragazzi)

“Non hai mai visto le farfalle rosse, gialle e bianche? Sembrano quasi dei fiori e lo sono anche state, ma poi hanno spiccato un gran salto, si sono staccate dal gambo, hanno agitato i petali come fossero piccole ali e sono volate via.” Per Andersen i fiori rileggendo “I fiori della piccola Ida”, ballano, amano e sanno anche volare, e non è una fantasia. Si sa nelle fiabe può accadere di tutto, ma a leggere il libro di Stefano Roccio, biologo e illustratore, “La natura non ha Copyright ” (Trasversale Beisler, pp.111, € 19,00), l’universo naturale che ci circonda supera di gran lunga ogni immaginazione. L’autore descrive infatti un excursus avvincente sui meccanismi che regolano la natura e la ricerca dell’uomo fin dall’antichità per cercare in essi chiarimenti e soluzioni alle esigenze e ai bisogni dei nostri tempi.

Facciamo un esempio. Scrive il biologo: “I ragni godono di una pessima fama per la loro reputazione di killer velenosi che film e documentari hanno contribuito a creare. In realtà, dando la caccia a fastidiosi insetti, questi animali non solo sono nostri alleati, ma anche incredibili costruttori. La seta che producono e utilizzano per costruire le ragnatele si appresta a diventare uno dei materiali del futuro.”

Sapevate che gli squali, tra i predatori più temibili dei nostri mari, hanno contribuito a scoprire attraverso i loro “denticoli termici” come produrre una superficie sintetica che imitando la trama della pelle dello squalo impedisce “ai microbi di colonizzarsi e moltiplicarsi.”? Non si contano gli animali indispensabili alla nostra sopravvivenza tra cui le api. Non solo per i loro comportamenti sociali che si ritrovano anche nelle formiche e nelle termiti, ma per il loro efficiente metodo di comunicazione che potrebbe tornare utile all’uomo per usufruire al meglio di apparecchi elettronici e di elettrodomestici.

La Biomimesi, ovvero la disciplina che studia le scoperte ispirate dall’osservazione della natura, ha radici antiche che risalgono alla preistoria se è vero che l’essere umano era immerso nel mondo naturale e cercava in esso soluzioni ai suoi problemi. E’ un termine che è stato coniato abbastanza recentemente negli anni Cinquanta dal fisico e inventore americano Otto Schimtt. Tuttavia, scrive l’autore,”Le meraviglie della Terra hanno sempre catturato la nostra immaginazione e sono rappresentate in racconti popolari, leggende e opere d’arte in tutte le epoche e civiltà. Un esempio è il mito di Dedalo e Icaro…”. Ma il più grande antesignano della Biomimesi è stato Leonardo da Vinci, “un uomo in anticipo sui tempi e un acuto osservatore; lo dimostrano le sue annotazioni e i suoi schizzi di “macchine volanti” che imitavano l’anatomia e la tecnica di volo di uccelli e pipistrelli.”

La vita moderna ha allontanato gli uomini dai lenti processi della natura, oggi infatti sempre meno sono in grado di stabilire un rapporto contemplativo con il mondo naturale, anche se ne hanno un bisogno organico insostituibile. L’ecologia ha portato un contributo determinante, ma l’utilitarismo nel senso baconiano del termine sovente prevale. Ebbene questo libro insegna molte cose e soprattutto a capire che il linguaggio del mondo naturale di cui fanno parte piante e animali è totale e nello stesso tempo contiene molte lingue. Basta saperle ascoltare.

a cura di Paola Benadusi Marzocca (esperta di letteratura giovanile per ragazzi)

I “Miti Greci – Dei, creature e mostri dell’antica Grecia” di Jean Menzies e Hotie Ponder (Gribaudo, trad. Anna Fontebuoni, pp. 153, € 19,90) confermano una volta di più che non ci sono limiti di tempo e di età nelle storie che rappresentano in maniera fantastica l’origine dell’universo. Attraverso vivide immagini di forte impatto visivo gli autori raccontano grandi eventi intrecciati e complessi che colpiscono ragazzi e adulti perché riconducibili da quelli più grotteschi e fantasiosi a quelli più rassicuranti, al mistero dell’inizio dell’umanità. C’è infatti in queste narrazioni tutto ciò che fa parte dell’essere umano. Dai moti d’animo più nobili quali l’amore, l’innocenza, la forza, il coraggio, la generosità, il perdono a quelli più diffusi ossia l’odio, la collera, la disperazione, la follia, la fragilità, l’invidia, la crudeltà e via dicendo. Certo è che il vaso di Pandora era meglio per il mondo fosse rimasto chiuso perché quando “la prima donna” ebbe preso un’incantevole forma creata con manciata di terra dallo stesso Zeus aiutato da Efesto, nessuno aveva previsto che la sua curiosità avrebbe portato un immane scompiglio tra gli umani. Pandora infatti aprì il vaso proibito sigillato da Giove senza essere consapevole della gravità del suo gesto e “tutto ciò che vi era di malvagio si sparse nel mondo.” La Terra, prima tranquilla e luminosa, fu invasa da una nuvola maligna: follia, malattie, vizio, guerra, fame, vecchiaia erano stati liberati. Prometeo, incatenato dal suo remoto luogo di punizione, pianse disperato per il destino infelice che investiva gli uomini, le sue creature. Ma dentro al vaso era rimasto qualcosa, una piccola cosa appiccicosa, una crisalide; significava che non tutto era perduto: all’umanità sarebbe rimasta la speranza.

Come scrive Jean Menzies: “L’antica civiltà greca si diffuse in tutto il Mediterraneo, ma ogni regione anche la più lontana, condivise gli dei e gli eroi.” Sono loro che hanno popolato e dato vita eterna ai miti, che non sono favole remote o vecchie leggende religiose, sono qualcosa di più. Anche se spesso sono rappresentate come una serie di vicende distinte l’una dall’altra e offrono una gamma infinita di possibili combinazioni, si comprende da questo libro che ciascuna può assumere un significato complessivo, narrare una storia esaustiva senza tradire lo spirito dell’universo olimpico.

Basti rileggere il mito di Orfeo, il più grande musicista della Terra, ed Euridice e la forza del loro eterno amore. Rianimare figure di eroi come Ulisse, le cui vicende si espandono in uno scenario senza confini dove avvengono cose fantastiche ai limiti del fantasy più sfrenato. Per non parlare delle Amazzoni, le donne guerriere, figlie del dio della guerra Ares, che vivevano in luoghi isolati e allevavano solo figlie femmine, i maschi li lasciavano ai padri. Incredibile ma sempre attuale è la storia di Mida, sovrano della Frigia punito dal suo desiderio inesausto di possedere oro. Per non parlare della potente maga Circe, figlia di un dio, che seduceva gli uomini trasformandoli in animali, mentre Aracne, comune mortale, paga cara la sua sfrontata sfida alla dea Atena. Non aveva capito che nessuno può mettersi in competizione con una divinità e così viene punita e trasformata in un ragno peloso dalla cui bava escono fragili tele. Alcune figure di donna hanno assunto anche grazie alle tragedie di Euripide una dimensione epica quali Medea, la figlia del re della Colchide, Eete. Era una giovane piena di temperamento, ribelle e coraggiosa. Si innamora di Giasone e pensa di vivere con lui e i loro figli un’esistenza felice, ma viene raggirata e tradita; così reagisce vendicandosi in modo orribile.

Insomma al principio erano gli dei che rappresentavano in modo fantastico e accattivante il contrasto tra le brevità delle singole esistenze umane e l’incessante intreccio di potenze invisibili e fatali. Ai nostri giorni non è certo credibile che gli dei partecipino agli affari umani, ma è segno di vitalità e passione immergersi nel loro mondo e non dimenticarlo credendo casomai alla possibilità di costanti trasformazioni e capovolgimenti che riescano a rendere la vita accettabile e lieta malgrado la sua inevitabile incertezza.

di Luciano Benadusi (fondatore e direttore della rivista scientifica Scuola Democratica) 

Premessa

La lettura dei programmi elettorali dei partiti sulla scuola si presta a molte chiavi di lettura. Comincerò da una lettura di tipo qualitativo. Pur con le dovute differenze si nota una certa disorganicità: buoni o meno buoni propositi messi in fila uno dopo l’altro al di fuori di una comune cornice strategica basata su un’esplicita lettura della realtà e non solo su scelte identitarie e aspettative di raccolta di consensi. Allarmante è che tale difetto compaia maggiormente nei programmi dei due soggetti politici – coalizione di centro-destra e Fratelli d’Italia – destinati, secondo i sondaggi, a vincere la competizione elettorale e ad assumere la leadership del governo. Questi programmi infatti si limitano per lo più a snocciolare elenchi di temi o di obiettivi, del tipo “Rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico” (programma della coalizione), oppure “Contrasto alla dispersione scolastica” (programma FdI), che nulla ci rivelano sul modo in cui tali obiettivi saranno perseguiti e sul grado di priorità che sarà ad essi assegnato.

Un altro limite è l’incompletezza. Un tema che non manca mai è quello del personale, in particolare del trattamento economico della categoria e della messa in ruolo dei precari. Se si andasse a cercare il possibile cemento di un governo di unità nazionale lo si troverebbe proprio su questi temi, malgrado le ingenti spese che le proposte su di essi comportano. Ovviamente non si può negare che si tratti di un tema essenziale: gli insegnanti sono la prima risorsa di cui ha bisogno la scuola. Compaiono di frequente altri temi importanti ma sono meno consensuali. In particolare tre: l’obbligo scolastico o diritto-dovere, la struttura dei cicli, il tempo pieno. Più diffusamente il terzo perché gli altri due sono più divisivi.

Scarsa è invece l’attenzione ad altri temi importanti. Per esempio, al tema della governance del quale si occupano soprattutto i partiti di centro-destra, ma solo per ribadire la controversa richiesta di equiparazione del finanziamento della scuola paritaria a quello della scuola pubblica. La questione dell’autonomia scolastica invece viene per lo più riposta in soffitta, mentre sarebbe il caso di farle un tagliando per riaprire un cantiere da tempo abbandonato e oramai arrugginito. Ancora più sfocato il tema della riforma dell’amministrazione centrale, fatta eccezione per qualche riferimento qua e là alla questione della valutazione. Così pure quello dei rapporti stato-regioni (sorprendente il silenzio in materia finanche della Lega, malgrado la scuola rientri fra i settori compresi nel suo progetto di autonomia differenziata). Raramente si richiamano le riforme dei curricoli e della didattica, e c’era da aspettarselo in quanto sono di grande rilievo per docenti e studenti ma, particolarmente la didattica, distanti dall’interesse dei politici perché di solito non formano oggetto dell’attività legislativa del parlamento. Quanto ai curricoli colpisce che il tema dell’educazione alla cittadinanza, sempre più cruciale in un tempo di crisi della democrazia, sia menzionato solo (e genericamente) nei programmi di due dei sei maggiori dei quali ci occuperemo analiticamente qui di seguito. Non migliore, a prescindere dal PNRR, l’attenzione riservata alle politiche europee dell’istruzione. Uno dei concetti-chiave a livello dell’Unione – il lifelong learning -sembra che sotto il cielo della politica italiana non abbia fatto ancora la sua comparsa, tanto che nei programmi elettorali dei maggiori partiti nessun accenno si rinviene all’educazione degli adulti.

Non sorprendono perciò i commenti molto severi di alcuni esperti del settore. Ne citiamo uno riferito all’insieme dei programmi: “L’impressione è che a prevalere sia l’intenzione di spremere dal gran calderone dello scontento scolastico il massimo possibile di consensi. Obiettivi come ami lanciati nella veloce e distratta corrente elettorale a gruppi di pressione e a interessi specifici, richiami a sensibilità culturali ed educative particolari, talora antichi e obsoleti cavalli di battaglia.” (Farinelli, 2022). E in ciò vi si ravvisa una curvatura populista. In realtà se di questo si tratta è forse un populismo per forza piuttosto che per amore. Fino a quando è esistito in Italia un solido sistema di partiti questi assolvevano a due funzioni essenziali per il buon funzionamento della democrazia: l’alfabetizzazione politica dell’elettorato e la formazione dei gruppi dirigenti. I grandi partiti (e non solo questi) disponevano di ben organizzati uffici-scuola dove in continuità lavoravano fianco a fianco parlamentari ed esperti. Inoltre, essi attraverso una rete di uffici regionali e provinciali gestivano un flusso bidirezionale di informazioni, conoscenze e orientamenti che arrivavano anche a coinvolgere in qualche misura i docenti e gli studenti. Oggi, nell’epoca dei partiti personali e del marketing politico, tutto ciò è stato spazzato via ed è svanito perfino dalla memoria dei più. Non c’è dunque da meravigliarsi che la politica anziché guidare sia guidata dagli interessi, i preconcetti e le emozioni diffuse tra gli elettori. Troppo presto sono sopravvenute le elezioni perché andasse avanti il coraggioso progetto delle Agorà, con il quale Enrico Letta intendeva rifondare il PD trasformandolo da coacervo litigioso di correnti di vertice a strumento di democrazia partecipativa e deliberativa.

Veniamo ora alle convergenze e alle differenze ravvisabili nei contenuti, per le ragioni dette a partire dal tema personale. Affronterò poi il tema strategico delle riforme ordinamentali (intese in senso ampio), mentre ometterò di trattare il tema edilizia, pure molto importante, perché fortunatamente già oggetto di un robusto piano di investimenti del PNRR. Ad essi qualcuno dei programmi elettorali dei partiti propone di far seguire un piano a più lungo termine, finanziato con risorse interne.

Passeremo ora in rassegna i programmi dei sei maggiori partiti: Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Azione-ItaliaViva, Partito democratico, Movimento 5Stelle.

Per proseguire la lettura dell’articolo e accedere alla sua versione completa, cliccare il link qui sotto:

http://www.learning4.it/wp-content/uploads/2022/09/I-programmi-elettorali-dei-parti-sulla-scuola-settembre-2022.pdf