STORIE DA CONOSCERE E RACCONTARE- “Dacca Toxic – Cronache lunari di un ragazzo bizzarro” di C. Fradier

A cura di Eugenia Marzocca psicologa, psicoterapeuta, ippoterapeuta

Il romanzo di Catherine Fradier “Dacca Toxic – Cronache lunari di un ragazzo bizzarro” (Uovonero, trad. Sante Bandirali e Ilaria Piperno, pp. 169, € 15,00) per la ricchezza di temi e atmosfere rende perfettamente fatti terribili e spaventosi per uomini e animali che connotano la realtà quotidiana di una città come Dacca, la capitale del Bangladesh, “la città più inquinata del mondo”. E tutto ciò è raccontato da un ragazzino autistico. “Un autistico di livello 1”. Che cosa significhi è ben noto ai nostri giorni anche se le interpretazioni degli psicologi sono varie e il merito è anche di libri come questo. L’autismo non sempre implica deficit di intelligenza, né ritardo nel linguaggio. Nel caso del nostro protagonista Sacha Sourieau è molto intelligente, bravissimo a matematica, ma ha seri problemi quando deve comunicare con gli altri, soprattutto coetanei; non riesce a interpretare in forma immediata le consuetudini sociali e soprattutto non sa controllare le proprie emozioni. Altra caratteristica è l’inclinazione a interessarsi in modo esclusivo a temi precisi, molto specifici e a volte complessi e importanti con un atteggiamento quasi ossessivo che esclude ogni altro campo di conoscenza che richieda attenzione. Ma torniamo al romanzo. Sacha è a Dacca perché la sua mamma è la dottoressa Sourieau impegnata come medico per una ONG. Qui incontra una ragazzina di nome Sultana che lavora con turni massacranti e in condizioni disumane in una conceria che non avendo nessuna protezione sia per adulti che per ragazzi, ha perso un occhio. Nessuno degli operai che lavorano in questa struttura indossa una maschera e sguazzando la maggior parte a piedi e mani nude in pozzanghere di acido corrosivo che toglie il respiro e ferisce la pelle. “A Hazaribagh la vita media non arriva a cinquant’anni.” Il fratello di Sultana più grande di lei, Dilip, è dipendente di un macello dove anche qui viene violata costantemente la legge con l’appoggio della classe politica. In Bangladesh i bambini possono lavorare per cinque ore al giorno, in realtà lavorano almeno dodici ore al giorno sette giorni alla settimana. Dilip vorrebbe rivolgersi al Sindacato dei conciapelli portando una serie di prove perché risarciscano la sorella, ma lo polizia vuole farlo tacere. Sacha sarà suo malgrado coinvolto in una estenuante e pericolosa fuga per aiutare l’amico, attraverso luoghi dove anche gli stessi animali da macello, le vacche in questo caso, sono torturate prima di essere “decapitate, eviscerate, squartate”. Il nostro protagonista rimarrà sconvolto da tanta crudeltà ma anziché cedere, tirerà fuori tutto il suo coraggio per salvarsi insieme a Dilip e denunciare l’accaduto ricorrendo al suo intuito particolare e alle sue indubbie doti intellettive.

a cura di Paola Benadusi Marzocca (esperta di letteratura giovanile per ragazzi)

Nel libro di poesie di Ruggero Marino, colpisce ciò che spiega Giuseppe Carrisi nella Prefazione: «Certo l’Italia non è il Messico, il Paese dei femminicidi per eccellenza. Oltre tremila la media delle donne uccise in un anno, in un mix di criminalità e cultura machista. Ma anche noi stiamo vivendo un’emergenza sociale senza precedenti. Lo dicono i numeri. Freddi, impressionanti, che però fotografano una realtà inconfutabile. Un dato, in particolare, colpisce più degli altri: nel 2022, ogni tre giorni circa è stata uccisa una donna. E i conti sono presto fatti. Cambiano i luoghi, cambiano i pretesti, cambia l’età delle vittime e dei carnefici. La violenza assassina è sempre la stessa». Il tema della violenza investe in pieno anche gli uomini. Tanti sono gli interrogativi senza risposta, è una pretesa impossibile pretendere spiegazioni univoche. Si dovrebbe partire dall’origine della vita: è nata da una casuale sequenza di fatti inverosimili, o c’era all’inizio un disegno preciso? Perché ci sono due sessi? Si può distinguere fra il principio maschile e quello femminile? L’attuale e giusta tendenza all’uguaglianza dei diritti si scontra con una verità che non è soltanto storico-sociale. C’è un personaggio in un racconto di Karen Blixen che dice, a proposito dell’emancipazione femminile: «Per un certo periodo di tempo Adamo poté vagabondare a suo piacimento su una terra nuova e serena, tra gli animali, nel pieno possesso dell’anima sua… ma la povera Eva trovò l’uomo già insediato sulla terra con tutte le pretese su di lei sin dal primo momento in cui vi pose piede…». Le pretese si sono attenuate, forse, ma se diamo la caccia al tempo passato «dobbiamo accontentarci di acchiapparlo per la coda e alla rovescia».

All’inizio del movimento femminista parecchie giovani donne, le più intelligenti e geniali, uscirono dalla penombra di millenni per vivere libere, per recuperare il tempo in cui erano state in qualche modo prigioniere. Avevano fretta di assaporare fino in fondo i doni della vita. La propria esistenza sembrava a ognuna più importante di qualsiasi altra cosa. Destinate per tradizione a rimanere ferme, scoprirono per vari motivi l’avventura, la ricerca, cioè un altro modo di essere se stesse. E proprio il viaggio fu uno dei banchi di prova della libertà, perché anche se si rimaneva chiusi in una stanza come Emily Dickinson, c’era sempre uno spostamento, cosicché nessuna che attraversasse la poesia, o l’amore o la ribellione ritornava mai uguale a prima. Nell’area occidentale il femminismo si è affermato da tempo, le donne sono entrate nelle roccaforti del potere, della scienza, della legge. «Come gli Achei a Troia, si sono introdotte dentro le mura nascoste nel ventre di un cavallo di legno», possono ora procedere a fronte scoperta, abbandonando i travestimenti usati per imitare le professioni virili. Nonostante questo, spesso sono ancora schiave dell’armamentario psicologico e mentale degli uomini, della deformante influenza dell’altro sesso.

Le poesie di Ruggero Marino hanno il merito di riportare l’attenzione proprio su questo. Come lui stesso spiega: «Nel nuovo secolo la brutalità non si arresta, anzi. E il virus, reclusi nelle case, ha moltiplicato gli agguati. Questa è la realtà di cui i versi si fanno portatori per scuotere le coscienze, con un pugno allo stomaco per chi legge… Sperando che almeno la poesia possa toccare gli animi. Un’opera dedicata alle donne, ma che andrebbe letta soprattutto dagli uomini». Un incoraggiamento a parlare senza nessun timore dell’essere umano femminile, a riconoscere la validità dell’elemento proprio della donna nel suo desiderio e nella sua volontà di scegliere se agire come persona insieme all’uomo. È la diversità che favorisce l’intesa e stimola l’ispirazione fondamentale per lo sviluppo e l’arricchimento di ognuno, uomo e donna che sia. Riconoscerla con rispetto aiuterà a riscrivere le storie interiori, forse a celebrare la rinascita di un nuovo umanesimo.