STORIE DA CONOSCERE E RACCONTARE L’AQUILONE DI NOAH di R. Sameròn

Recensione a cura di Paola Benadusi Marzocca (esperta di letteratura giovanile per ragazzi)

Ispirato a fatti realmente avvenuti L’AQUILONE DI NOAH di Rafael Sameròn ( Uovonero, trad. Daria Podestà, pp.224, € 15,00) si svolge a Cracovia nel 1939 quando i tedeschi avevano appena invaso la Polonia occupandola in meno di una settimana. Gli ebrei erano circa un quarto della popolazione della città. I polacchi applaudirono mentre “l’esercito tedesco, ben armato, ordinato e splendente, sfilava per le vie principali della città.”

E’ un romanzo da leggere perché scandisce temporalmente quello che avvenne, offrendo un quadro realistico quanto drammatico di uno dei periodi più oscuri della storia dell’umanità. Racconta la vita quotidiana di un bambino dai grandi occhi scuri, autistico, che vive in un mondo tutto suo, non risponde, né sembra ascoltare. Soltanto gli aquiloni gli interessano e riuscire a farli volteggiare nel vento è la sua principale occupazione. Terzo figlio di un modesto orologiaio ebreo è nato senza piangere e ha continuato a restare in silenzio anno dopo anno anche quando la madre per farlo reagire non lo attaccava neppure al seno. Nessuno nella sua famiglia si occupa di lui, la madre lo considera un castigo di Dio, la sorella non lo degna di uno sguardo, il padre non conta nulla, è un uomo silenzioso e sbiadito, anche lui sembra vivere in una dimensione separata dagli altri alle prese con i suoi orologi. L’unico che si occupa del piccolo Noah è il fratello maggiore, il forte e generoso Joel, “l’orso grande e buono, il gigante amico…”, energico, pieno di vita, bello. E’ proprio Joel che si accorge prima degli altri che la realtà intorno a loro diventa di giorno in giorno sempre più complicata e difficile; non solo ai nazisti non piacciono gli ebrei, ma anche a molti polacchi. In breve tempo viene proibito loro tutto, persino camminare lungo il marciapiede, sedersi sulle panchine, figurarsi poi giocare con gli aquiloni. Vengono rappresentati nei manifesti con nasi adunchi e sguardo malvagio, ma pur tuttavia inizialmente pensano che i tedeschi siano “gente civili”, che il loro odio verso gli ebrei sia “pura propaganda politica”. “Sono il paese di Goethe, di Schiller e Beethoven. D’ora in poi le cose andranno molto meglio con loro”. Questo dice alla sorella lo zio di Noah. Pura illusione, un’immane tragedia sta per abbattersi sulla città. Il bambino non percepisce la gravità della situazione. Cerca solo di far volare i suoi aquiloni con l’aiuto del fratello. Nel marzo 1941 il comando tedesco stabilisce con un editto che gli ebrei devono abbandonare le loro case e risiedere nel ghetto. Quattro famiglie per ogni appartamento di pochi metri quadrati. Non si possono discutere questi ordini. “Nel ghetto la vita si fa strada fra tanta morte e la musica, il divertimento e la cultura sono dei beni così preziosi e un alimento così saziante che non possono essere eliminati. Anche se nel coro ci sono tre ragazzi in meno dell’ultima volta che si sono incontrati per le prove.” Lo sterminio, in silenzio, quasi di nascosto, ha avuto inizio.

Qualcuno si salverà, ma certo l’Europa diventerà in quel momento un luogo di terrore e di orrore e perciò non basta ricordare il giorno della memoria, il 27 gennaio di ogni anno, occorre sottolineare costantemente come l’impossibilità si possa tramutare in breve tempo nella possibilità della più ingiusta, feroce persecuzione di tutti i tempi.