“EQUITÀ E MERITO NELLA SCUOLA”. Intervista agli autori

22 giugno 2021

Luciano Benadusi e Orazio Giancola sono gli autori del libro “EQUITÀ E MERITO NELLA SCUOLA Teorie, indagini empiriche, politiche” ( FrancoAngeli 2021)

Il sistema educativo italiano, così come gli altri sistemi educativi dei paesi ad economia avanzata, ha vissuto dal secondo dopoguerra ad oggi una continua espansione in termini di partecipazione che ha portato ad una relativa diminuzione delle disuguaglianze. Negli ultimi anni tuttavia la tendenza sembra essersi interrotta: vecchie e nuove diseguaglianze continuano a prodursi e riprodursi, a sfavore dell’uguaglianza, dell’equità e di apprezzabili risultati individuali e aggregati. Allo stesso tempo, le politiche educative sembrano essere entrate in una fase di stallo relativo sia in conseguenza dell’instabilità dei cicli economici (tagli alla spesa pubblica in istruzione) che per l’affermazione di nuove correnti neoliberali che aprono spazi di quasi-mercato dagli incerti esiti in termini di equità ma anche di performance.

Approfondiamo con gli autori i temi principali affrontati nel loro volume.

 

Come è nata l’idea di lavorare a questo libro?

La prima idea la avevamo avuta dopo la fine dell’esperienza Gerese, una quindicina di anni fa. Era stato appena pubblicato un volumetto, a cura Benadusi e Bottani, dove si sintetizzavano i risultati di quella esperienza; Gerese era l’acronimo di un gruppo internazionale di ricerca che aveva lavorato sul tema dell’equità in educazione prima per conto dell’OCSE e poi della Commissione UE e di cui entrambi gli autori di questo libro, Benadusi e Giancola, facevano parte rappresentandovi l’Italia. L’approccio di Gerese nella sua originalità ci sembrava valesse la pena di essere proseguito con un ulteriore lavoro finalizzato alla pubblicazione in Italia di un libro appunto di ricerca. Perché era originale? Perché per la prima volta faceva dialogare due diversi filoni della letteratura scientifica: il dibattito della filosofia politica e morale sull’idea di giustizia e le indagini quantitative dei sociologi e degli economisti sulle diseguaglianze nell’istruzione. Come dire la giustizia auspicata e la giustizia o ingiustizia di fatto. Occorreva scrivere una monografia dal taglio non semplicemente divulgativo e molto sistematico, un genere che richiedeva tempi lunghi di elaborazione, e magari di essere costruita un pezzo alla volta passando attraverso un certo numero di saggi su temi più specifici. E’ il percorso che abbiamo compiuto. Comunque ci abbiamo impiegato meno tempo di quello che servì a Tommasi di Lampedusa per scrivere il suo famoso romanzo.

Le espressioni “merito” e “meritocrazia” sono ormai entrate nel linguaggio pubblico e il loro significato tende ad essere dato per scontato. Qual è la definizione del concetto di merito e quale complessità sottende?

Il termine merito si usa alludendo a cose assai differenti. A volte si usa a sproposito come quando, secondo una logica neo-liberista, si attribuisce interamente al merito degli individui o delle imprese i successi da loro ottenuti sul mercato che possono dipendere da fattori i più diversi ivi compresa la fortuna. Nel caso della scuola il merito si misura in genere sulle performance degli studenti ma alle volte anche sui fattori che le determinano identificate dal maggiore teorico contemporaneo della giustizia, John Rawls, nel talento e nell’impegno. Con il termine meritocrazia, preso alla lettera, si suppone che il merito venga premiato attribuendo potere, il che per gli studenti è assolutamente fuori luogo.

Riprendendo quanto detto, qual è la posizione espressa nel volume riguardo al rapporto tra merito e equità e giustizia?

Noi adoperiamo il termine equità come sinonimo di giustizia distributiva, ad esempio continuando a ragionare sulla scuola si può parlare di equa o iniqua distribuzione di beni quali i voti, i giudizi, le promozioni, le certificazioni finali di un corso di studi. La stessa attenzione dei docenti è un bene scarso che può essere distribuito in modi diversi. Sono decisioni che sollevano un problema di equità-giustizia e lo stesso succede quando si tratta di decidere sulla composizione delle classi o dei gruppi, ad esempio se essa debba essere omogenea in base alle performance pregresse (compagni di classe e magari anche docenti migliori agli studenti migliori) oppure equi-eterogenea, considerato che le ricerche ci indicano essere questi dei fattori dal forte impatto sugli apprendimenti. Altri esempi potremmo fare scalando di livello, cioè passando dal livello della classe o dell’istituto a quello delle macro-politiche nazionali. Comunque l’equità della scuola non si può oggi dare più per scontata, se si vogliono ridurre la crescente conflittualità fra insegnanti, studenti e famiglie e la demotivazione degli studenti che si sentono trattati ingiustamente (molti ritengono la scuola un luogo ingiusto, ci dicono le ricerche), occorre che i criteri di distribuzione siano predeterminati, trasparenti e ragionevoli.

Nella nostra impostazione l’equità-giustizia è un concetto di secondo livello che racchiude due concetti polari di primo livello: il merito e l’eguaglianza. Gli approcci all’equità che noi approfondiamo si dispongono in modo differente tra questi due poli: la “meritocrazia classica” è polarizzata sul merito, la “eguaglianza delle capacitazioni” e la “eguaglianza delle condizioni e dei risultati in funzione dell’inclusione” appunto sull’eguaglianza. La “eguaglianza delle opportunità”, conosciuta anche come eguaglianza dei punti di partenza, si colloca nel mezzo.

Come ha osservato nella domanda il giudizio di equità è però molto complesso per quattro ragioni: 1. perché ha da fare i conti con una pluralità di criteri di giustizia (oltre a quelli da noi approfonditi ne esistono altri cui nel libro si fa pure riferimento, ad esempio la “parità di trattamento”); 2. perché essi a volte entrano irrimediabilmente in conflitto, altre volte è preferibile metter mano a delle combinazioni o dei compromessi; 3. perché la scelta di cui al punto 2 mette in gioco non solo degli archetipi di natura etica ma anche delle valutazioni pragmatiche da effettuare caso per caso (la contestualizzazione) sulla base dei saperi pratici dei professionisti della scuola e delle evidenze empiriche offerte dalle scienze sociali e dell’educazione; 4. Infine perché, oltre al registro dell’equità sul quale il nostro orientamento privilegia il principio dell’eguaglianza nelle sue varie declinazioni, vi è da guardare anche al registro della qualità o dell’efficacia parimenti connotato in modo plurimo e contestualizzato. Del rapporto tra le diverse nozioni di equità e tra equità e qualità si occupano le analisi empiriche da noi esaminate o prodotte ad hoc per questo volume.

A partire da queste considerazioni, quali sono a vostro avviso le ricadute in termini di possibili politiche educative e sociali per contrastare le diseguaglianze e favorire inclusione ed efficacia?

Una prima indicazione riguarda la struttura ordinamentale del sistema scolastico italiano. Le ricerche comparative hanno evidenziato che i sistemi nazionali che hanno adottato il modello “comprensivo” in modo più radicale (almeno fino al 16° anno di età) quali i nordici hanno conseguito risultati superiori ai sistemi che hanno adottato il modello “selettivo” sul piano dell’equità e non inferiori sul piano della qualità, intesa come misura media delle competenze di base apprese dai quindicenni (indagini OCSE-PISA). L’Italia con la riforma della media unica del 1961 si è fermata al 14° anno di età e a due anni dalla fine della media presenta dei deficit delle competenze di base (linguistiche, matematiche e scientifiche) decisamente più elevate rispetto alla media europea come più elevate sono le uscite precoci dalla scuola. Si tratta di un problema grave di mancata inclusione che si coniuga con un problema di disuguaglianze sociali e territoriali a partire dalle due transizioni più critiche: quelle fra primaria e media e fra media e superiori. Andrebbe dunque ripreso il cammino della comprensivizzazione estendendolo al biennio 15-16 e finalizzandolo proprio al raggiungimento di una soglia minima necessaria delle competenze di base. Per realizzare ciò non serve – anzi è controproducente – l’uniformazione, ma la differenziazione dei processi deve aiutare a conseguire quel risultato inclusivo ed egualitario (la cosiddetta “individualizzazione”), rinviando alla fase successiva (post-obbligo) le differenziazioni stratificanti (la cosiddetta “personalizzazione”).